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Hansen alla Cop21: “Per salvare il clima l’unica soluzione è una tassa sui combustibili fossili”

Scritto da Lorenzo Barbuti – Responsabile marketing | 26/07/16 15.53

Caterina Visco su Wired.it

James Hansen è alla Cop21 per promuovere la sua idea di una “carbon fee”. 

“I nostri genitori non sapevano che bruciare carburanti fossili avrebbe causato gravi problemi alle generazioni future. Noi, invece, possiamo solo fare finta di non saperlo“. Così James Hansenclimatologo alla Columbia University, apre il suo intervento alla Cop21 di Parigi. Lui è quello che per primo ha avvertito il mondo che il riscaldamento globale era in atto e che bisognava fare qualcosa e questa è la prima volta che partecipa a una Conferenza sui cambiamenti climatici

Sono passati quasi 30 anni dal suo primo appello, nel 1988, e ad Hansen non solo non piace quello che (non) è stato fatto ma neanche quello che si sta discutendo in questi giorni a Parigi. Noi di Wired lo abbiamo incontrato in occasione della sua conferenza stampa qui alla Cop21 e, tra un paio domande in sala e un altro paio rubate in un corridoio, ci siamo fatti raccontare meglio cosa pensa.

Professor Hansen, qual’è la sua proposta per contrastare il riscaldamento globale del pianeta?

“La mia idea è la stessa ormai da tempo.

Il problema è che finchè i carburanti fossili saranno economici saranno utilizzati. Quello che serve è un’imposta sulle emissioni di carbonio che alzi i costi di queste fonti di energia. I prodotti dei paesi che non vogliono la carbon fee devono essere poi tassati al confine, quando importati, cosicchè tutti siano incentivati a introdurre quest’imposta. I guadagni di queste misure, infine, non dovrebbero andare ai governi, ma essere ridistribuiti tra i residenti di ciascun stato”.

Lei sostiene che questa misura stimolerebbe l’economia. Cosa vuol dire?

“Questo è il fatto interessante, perché gli economisti sostengono che un’economia è più efficiente quando i prezzi sono onesti. Se noi manteniamo i sussidi per i carburanti fossili, rendiamo l’economia meno efficiente. Quindi, se rimuoviamo questi sussidi e lo facciamo in maniera graduale – non possiamo rimuoverli instantaneamente – questo migliorerebbe l’economia. Ma non se i governi si tengono i soldi e li usano per i loro programmi: questo deprimerebbe, invece, l’economia. Quindi i soldi devono essere ridistribuiti equamente tra i residenti, favorendo inoltre le persone con un reddito basso”.

Se le rinnovabili non sono sufficienti, come lei sostiene, e i combustibili fossili non vanno usati, cosa ci resta?

“Se si mette un prezzo onesto sulle emissioni di carbonio e lo si aumenta regolarmente, allora le alternative diventeranno competitive e saranno diverse in paesi diversi. Per esempio, per quanto riguarda Cina e India, penso che per queste nazioni gran parte della soluzione sia rappresentata da avanzati, migliori e più sicuri sistemi di sfruttamento dell’energia nucleare. Ed entrambi i governi hanno già preso questa decisione. Lasciamo che ci sia competizione e poi le nazioni decideranno, alcune non vorranno il nucleare ma poi avranno bisogno di qualche altra soluzione, sempre carbon free. Le rinnovabili possono aiutare ma non possono risolvere il problema completamente perché sono intermittenti e non soddisfano la domanda in maniera sufficiente e costante.”

Quale sarebbe un accordo di successo secondo lei?

“Come ho detto serve un accordo che prevede una carbon fee. E onestamente non servono 190 nazioni per averlo. Sarebbe sufficiente che i tre giocatori principali, Usa, Ue e Cina, anche solo due su tre. Non dico che non ci saranno dei risultati alla fine di questa conferenza o che le Indc siano inutili, certo è bene che i paesi si impegnino a ridurre le loro emissioni, ma questa non può essere una soluzione globale, lo abbiamo visto con Kyoto. Serve una rapida diminuzione delle emissioni e serve quindi una tassa sui carburanti fossili. L’unico momento in cui avremo un risultato di successo sarà quando ci sarà un accordo per una carbon fee globale in tutto il mondo. E se non accade qui dovrà accadere presto nei prossimi anni. Alla fine i leader ci arriveranno e a quel punto si tratterà di capire quanto danno è stato fatto”.

Cosa succede dopo Parigi?

“Per quel che mi riguarda, dopo Parigi, già la settimana prossima, io andrò in Cina a discutere la mia proposta, perché penso che loro possano guidare questo processo in quanto hanno bisogno di più energia, hanno la capacità finanziarla e vogliono pulire la loro atmosfera. Il rischio è che se facciamo passare troppi anni potremmo portare il sistema a un punto di non ritorno per la calotta glaciale dell’Antartide occidentale e non possiamo sapere con quali conseguenze. Dobbiamo agire in fretta”.

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